Sono ormai sempre più numerosi gli strumenti che le biotecnologie stanno mettendo a disposizione del settore agroalimentare per rendere più performante la catena produttiva e allo stesso tempo migliorare la qualità dei prodotti. La forte accelerazione del processo di modernizzazione dell’agro-industria registrata negli ultimi anni è stata resa possibile anche grazie all’utilizzo di soluzioni tecnologicamente avanzate che vanno, ad esempio, dai nuovi metodi di indagine genomica all’utilizzo di droni e sensori, senza tralasciare il sempre più frequente utilizzo dei big data. E’ proprio sulle opportunità offerte dall’innovazione tecnologica che il mondo dell’agri-industria e quello del biomed potrebbero trovare punti di contatto, in particolare intorno al tema dei materiali. Di questo abbiamo parlato con Federico Vecchioni, amministratore delegato e azionista di BF SPA, l’unico gruppo agroindustriale quotato in occidente. Il Gruppo B.F. SpA nasce e si sviluppa intorno all’omonima società agricola Bonifiche Ferraresi nata in provincia di Ferrara nel 1871 che oggi, con oltre 9000 ettari di SAU suddivise in realtà produttive in diverse regioni italiane tra cui Emilia-Romagna, Toscana e Sardegna, è la più grande azienda agricola italiana.
Agricoltura e biomed sono due mondi senza dubbio lontani ma se c’è un punto di contatto fra i due è sul fronte dell’innovazione…Assolutamente sì, sono due mondi che con questo denominatore comune dell’innovazione possono trovare molteplici occasioni di contatto, interagire e creare connessioni. L’evoluzione del Gruppo BF SpA, in questi ultimi tre anni ha riguardato principalmente l’applicazione di soluzioni innovative all’intera filiera agro-alimentare, in una logica integrata, legata alla consapevolezza che un consumatore sempre più evoluto richiede al mondo agricolo e alla filiera agro-industriale di saper accogliere nuove sfide. Quella dell’innovazione è una di queste ed è anche una dimostrazione di come l’ambito agricolo, considerato da sempre settore primario, abbia saputo negli anni declinare in modo molto maturo il suo ruolo di fornitore di materie prime di qualità. Il fornitore, quindi, diventa anche garante di come queste materie possano essere destinate a molteplici utilizzi, a seconda delle attese non solo del consumo ma anche dell’evoluzione della società e delle necessità emergenti. Un settore agricolo evoluto ha ben inteso come sia opportuno cogliere una sfida ulteriore che è quella dei materiali biocompatibili, anche in riferimento alle filiere in cui il gruppo BF è impegnato sotto il profilo produttivo che sono quelle dei grandi cereali, mais, frumento, barbabietola o patate. Sono filiere molto competitive che nascono tradizionalmente nella cultura italiana. L’opzione di scegliere polimeri di glucosio piuttosto che l’amido, come base per la produzione di materiale per il contatto con la pelle, rappresenta una filiera di sostenibilità che l’agricoltura del terzo millennio deve saper cogliere. Il nostro Gruppo non poteva non essere protagonista anche di questa sfida.
I due settori stanno già dialogando concretamente sulla produzione di bio-plastiche?
La fase è ancora embrionale. Sono due mondi che non hanno, fino ad oggi, avuto delle sedi istituzionali e probabilmente non ci sono state delle occasioni che abbiano potuto accelerare il processo di condivisione degli obiettivi e delle conoscenze. In questo senso, la vocazione di BF vuole essere la consapevolezza che i mondi della ricerca scientifica possono trovare nella connessione tra la biomedica e il mondo agricolo un ulteriore perimetro su cui lavorare. Tutto ciò che viene fatto in questa direzione fa del bene al mondo agricolo e anche alla biomedica. Un’iniziativa come Innovabiomed potrebbe dare un contributo importante da questo punto di vista.
Ritiene che il mondo politico possa e debba incentivare questo percorso?
Credo che lo spunto maggiore sia quello di incentivare tutto ciò che afferisce la ricerca scientifica in ambito agro-biomedico e cioè il fatto che ci possano essere delle specificità settoriali che possano godere, insieme alle risorse private, di un’incentivazione pubblica tale da incrementare e agevolare le alleanze strategiche tra operatori che abbiano a cuore la declinazione industriale e l’innovazione che ha poi un forte impatto economico locale con investimenti ed iniziative che vedono gli operatori cimentarsi in progetti tesi a sopperire ai nuovi fabbisogni della popolazione. Noi abbiamo un network molto forte con le facoltà di biotecnologie e scienze agrarie di tutto il mondo. Ci sono specificità che sono anche frutto di centri di ricerca che hanno avuto dei perimetri definiti come quello del Michigan e di Montpellier. Il nostro obiettivo deve essere quello di mettere in connessione i migliori centri, le migliori aree di sviluppo e i migliori cervelli, che spesso sono anche italiani, ed avere allo stesso tempo operatori economici che siano sensibili a questi temi. Quello che è mancato nel mondo agricolo è proprio l’interconnessione tra la sperimentazione dei diversi centri di ricerca delle facoltà scientifiche che ogni tanto viaggiano su strade parallele e che spesso sono troppo distanti dall’operatività dei centri produttivi.
Oltre al tema dei bio-materiali, potrebbero esserci altri punti di convergenza fra agri-industria e comparto medicale?
I punti di convergenza sono sulle nuove tecniche di coltivazione e su grandi temi che riguardano la valorizzazione delle materie prime. Noi siamo abituati in agricoltura a produrre quintali o tonnellate, il comparto della farmaceutica e quello del biomedicale viaggiano a grammi. Quindi, credo che l’ambito più significativo sia quello di poter ampliare delle progettualità specifiche, su specifici materiali e utilizzi, che tengano conto anche di una diversificazione produttiva del mondo agricolo, che è il vero fattore di competitività dei prossimi cinque-dieci anni. Cioè che accanto alle bioparti e alla biomedica, in realtà, risieda una capacità di ricerca scientifica e di sviluppo di nuovi materiali che fino a questo momento non hanno consegnato all’agricoltura un nuovo ruolo di vero soggetto capace di preservare la fertilità per i diversi utilizzi. Tutto questo ci lega ad un grande concetto di sostenibilità. Questi grandi temi possono essere affrontati con dei mondi che si parlino più frequentemente in maniera strutturata, ma con una specificità di progetti perché altrimenti nella generalizzazione dei temi si perde efficacia.
Il vostro gruppo opera sull’intera filiera, dalla genetica delle sementi fino al prodotto che arriva sulla tavola del consumatore. C’è un filo conduttore che permette di declinare il concetto di innovazione in ogni passaggio della catena produttiva?
Il filo conduttore sono le risorse umane nel senso che la preparazione delle nuove professionalità e discipline che vengono applicate alla filiera agroindustriale il motore dell’innovazione. Il mondo agricolo, in sette-otto anni, ha radicalmente accelerato il suo approccio all’innovazione e con esso tutta la filiera agroindustriale, ma questo lo ha fatto con una vocazione dei soggetti preposti all’organizzazione di queste filiere che ha trovato nella preparazione delle risorse umane, nelle loro competenze e anche nelle nuove competenze dedicate alla filiera l’humus dove potersi sviluppare. La prima cosa è lo sviluppo del know-how e di come viene implementato nelle filiere. Poi, c’è una responsabilità degli attori economici perché se non si fossero parlati, come hanno fatto in modo assiduo negli ultimi quattro-cinque anni, ci sarebbe stata ancora una scarsa aggregazione da parte dei diversi soggetti. Oggi industrie alimentari, mondo agricolo, grande distribuzione e ricerca scientifica sono tutti ambiti che hanno capito che da soli non si va da nessuna parte e se si vuole competere la competizione è ormai delle piattaforme e delle infrastrutture, non più dei soggetti nella loro unicità. Reggeranno di più sistemi strutturati e integrati piuttosto che singoli operatori quindi BF ha voluto anche in questo declinare questo approccio. Noi già nella nostra compagine azionaria abbiamo il mondo finanziario, agricolo e industriale nelle diverse rappresentazioni e nell’organizzazione dei nostri temi industriali tutti gli attori sono rappresentati perché fanno parte di un unico progetto. L’innovazione è il denominatore comune e il fattore di competitività più rappresentativo del piano industriale è rappresentato da tre parole d’ordine che sono ricerca e sviluppo, produzione e alleanza.
La presenza del gruppo farmaceutico di Sergio Dompè fra i vostri azionisti che impatto può generare su questi temi?
Il gruppo Dompè è con noi dall’inizio. L’amico Sergio Dompè ha intuito dalla prima genesi delle Bonifiche Ferraresi l’importanza strategica di un progetto di questa natura, con una capacità di aggregazione e di accelerazione dei processi che è stata frutto di molto lavoro, ma anche di consapevolezza degli operatori. Quando un grande gruppo, leader, come Dompè sceglie di essere nella compagine offre una straordinaria occasione di progresso a cittadini e consumatori.
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