Sono molti gli aspetti di natura economico-finanziaria su cui riflettere in relazione ai temi della salute e della sanità anche alla luce delle criticità emerse con il dilagare della pandemia da Covid-19. Ne abbiamo parlato con Alberto Minali importante imprenditore assicurativo, Ceo di Revo Spac e membro del Consiglio per l’Economia dello Stato della Città del Vaticano, che sarà fra i relatori della tavola rotonda “Salute e sanità fra umanesimo e tecnologia” in programma a Innovabiomed (Centro Congressi Palaexpo di Veronafiere) sabato 3 luglio 2021 alle ore 9,00.

 

 

Dott. Minali, l’emergenza Covid ha evidenziato l’importanza degli investimenti in ricerca e innovazione e quanto questi siano determinanti per la salute di tutti noi. Ha aperto anche nuove aree di interesse dal punto di vista finanziario?
Assolutamente sì. Le compagnie di assicurazione sono degli operatori di lungo periodo nel mercato dei capitali e quindi hanno a disposizione grandi somme di denaro che possono investire in ricerca scientifica e in progetti legati allo sviluppo di nuove tecnologie. Gli operatori assicurativi sono una sorta di naturale investitore nella ricerca scientifica finalizzata al bene della popolazione. La maggior parte delle compagnie in Europa sta focalizzando i propri sforzi sulla cura della persona e quindi anche gli investimenti possono andare in questa direzione.

 

 

Crede che questa crescente attenzione per la ricerca e per l’healthcare da parte del mondo finanziario potrebbe aiutarci nel fronteggiare eventuali future emergenze?
Credo di sì e penso sia stata molto corretta l’osservazione di Draghi quando dice che è mancato un piano di emergenza. Nel settore assicurativo abbiamo visto l’introduzione di una serie di coperture assicurative che sono state chiamate in azione per coprire questi rischi, dall’altra abbiamo proprio visto che mancavano i presidi sanitari fondamentali. A livello europeo, e di ogni singolo stato, va fatta una riflessione su come presidiare le filiere produttive dei presidi sanitari di emergenza minimi, come mascherine e disinfettanti. Abbiamo anche capito che l’organizzazione sanitaria necessita di una rivisitazione perché, ormai, il modello completamente pubblico va ripensato.

 

 

Quali sono gli ambiti che destano maggiore interesse per gli operatori economici?
Le compagnie di assicurazione che hanno questa grande prospettiva nel lungo periodo si trovano a disporre una grande quantità di denaro e anche solo una piccola parte investita nel settore sanitario potrebbe fare molto. In Italia abbiamo la necessità di difendere i distretti industriali. Abbiamo un distretto biomedicale di assoluta eccellenza mondiale e penso che le compagnie dovrebbero investire all’interno di fondi destinati al biomedicale in maniera sistematica. Inoltre, sono anche operatori che possono permettersi di investire in iniziative di startup, che un giorno potranno diventare innovazioni tecnologiche interessanti. Secondo me, ci sono grandi possibilità per fare bene e per investire parte degli attivi dei loro bilanci in queste iniziative che hanno grande impatto sociale ed economico.

 

 

Ritiene che l’emergenza Covid abbia evidenziato la necessità di una ridefinizione del rapporto fra pubblico e privato nella sanità?
Credo di sì. Tutti i sistemi sanitari pubblici, con questo evento pandemico, sono andati in tensione. Abbiamo capito che con una collaborazione intelligente possiamo trovare le risorse per il bene di tutti. La vecchia discussione solo privato o solo pubblico ormai è superata, occorre la partecipazione di tutte le forze economiche in questo progetto di riconfigurazione dell’offerta sanitaria in Italia e in Europa, altrimenti rischiamo di avere in futuro larghe fasce della popolazione che non sono coperte oppure un sistema che prevede che solo i più ricchi possano accedere alle cure sanitarie. Questi sono due estremi da evitare.

 

 

Quale può essere l’azione da mettere in campo nel prossimo futuro per superare questo gap?
Dovremmo pensare ad un’iniziativa governativa italiana di defiscalizzazione degli investimenti nel settore sanitario. Poi in questo campo manca competenza manageriale e di pianificazione e credo che, in Italia e in Europa, ci siano le risorse per poter riversare verso questa direzione le migliori energie. C’è anche la necessità di fare degli investimenti in lungo periodo in ricerca scientifica, ma occorre avere un approccio imprenditoriale, sapendo che su dieci solo due o tre progetti arriveranno a generare i frutti ma saranno grandi elementi di cambiamento. Il benessere della collettività passa anche dalla volontà degli operatori finanziari di destinare risorse, non necessariamente con l’obiettivo di un ritorno immediato ma con l’obiettivo di ritorno a lungo termine.

 

 

Cosa fare affinché in Italia l’assicurazione privata non rimanga un privilegio di pochi? Si potrebbe lavorare direttamente sui rapporti con il mondo industriale?
Questo sarebbe un percorso intelligente da fare. Nella negoziazione dei pacchetti economici dei lavoratori, negli altri paesi, la componente sanitaria è fondamentale. Dovremo spingere molto sulla possibilità di fare queste azioni di secondo livello, oltre a quelle di natura pubblica, cofinanziate o dalle casse pensioni o dalle stesse aziende per aumentare la qualità dell’offerta medica. Abbiamo bisogno di tutele intelligenti per la forza lavoro. Questo deve entrare all’interno della coproduzione collettiva, invece con la precarietà del mondo del lavoro rischiamo di avere in futuro larghe fasce della popolazione che non hanno coperture previdenziali contributive e che hanno poche coperture sanitarie, se non quelle pubbliche. Rischiamo che fasce della popolazione siano esposte al rischio di non avere cure sanitarie adeguate e il bilancio pubblico non sempre è in grado di sostenere questo sforzo sanitario perciò occorre anche la collaborazione delle forze private e dell’economia di mercato. Bisogna sempre ricordare che i vaccini sono stati fatti con grande sforzo all’interno di un settore di investimento capitalistico.

 

 

Il tema è etico, ma anche di sostenibilità…
E’ giusto avere sempre l’attenzione alla persona, come insegna Papa Francesco, ma il modo in cui prestiamo questa attenzione deve coinvolgere e aggregare sia le forze private che l’orientamento pubblico. Non credo ad un mercato sanitario totalmente privatistico, come quello americano, ma non penso neanche che sia sostenibile in futuro un mercato totalmente pubblico. I due modelli sono andati in tensione, l’economia di mercato non riesce a spiegare e a fornire bene i servizi a prezzi corretti alla maggior parte delle persone quindi c’è proprio un problema di benessere collettivo.