Il professor Gino Gerosa, direttore del centro di cardiochirurgia dell’azienda ospedaliera università di Padova e membro del comitato scientifico di Innovabiomed é stato intervistato da Michele Mirabella nella puntata di Elisir del 31 marzo, su RAI 3.
Ecco alcune delle domande a cui ha risposto il professor Gerosa.
In che cosa consiste l’insufficienza mitralica e, soprattutto, con che sintomi si manifesta? E’ corretto dire che il cuore non funziona bene?
Il cuore è una pompa e ha delle valvole che devono garantire l’unidirezionalità del flusso e la valvola mitrale ha questo compito per quanto riguarda il ventricolo sinistro, che nel momento in cui si contrae il flusso è diretto verso la valvola aortica e impedisce il suo ritorno indietro verso i polmoni. In questo caso c’è una valvola che non tiene. Il sintomo predominate è la mancanza di respiro, inizialmente quando si fanno sforzi importanti e poi peggiorando anche con sforzi minori o addirittura a riposo. Poi, possono comparire dei sintomi legati anche a delle aritmie cardiache, regina di tutte è la fibrillazione atriale che spesso accompagna i pazienti con un vizio valvolare mitralico. L’insufficienza mitralica può essere anche la conseguenza di un infarto miocardico, dove la malattia non è tanto della valvola ma del ventricolo e quindi bisogna pensare ad altre situazioni terapeutiche.
In che cosa consiste l’intervento? Quali sono le tecniche a disposizione e le conquiste della scienza?
Se l’insufficienza è severa e si osserva dilatazione del ventricolo sinistro e della camera atriale si pone l’indicazione a correggere e, in genere, si tende a riparare la valvola e a sostituirla, soprattutto nelle forme degenerative non funzionali. Per riparare la valvola ci sono tre possibilità. La cardiochirurgia tradizionale che vuole dire eseguire la sternotomia cioè l’apertura dell’osso piatto del torace per raggiungere il cuore, usare la circolazione extracorporea e fermare il cuore. E’ quello che noi chiamiamo intervento a cuore aperto. Poi, abbiamo la cardiochirurgia mininvasiva, dove riduciamo l’entità dell’incisione, ma dobbiamo ancora usare la circolazione extracorporea e fermare il cuore. Infine, abbiamo la cardiochirurgia microinvasiva, dove utilizzando le tecnologie transcatetere possiamo andare a correggere l’insufficienza mitralica entrando da una piccola incisione dalla punta del cuore, senza la necessità di fermarlo. In questo caso, il cardiochirurgo non può guardare direttamente con i propri occhi, ma deve utilizzare delle tecniche di imaging che gli permettano di guardare all’interno del cuore mentre manovra quei cateteri ed ecco l’utilizzo dell’ecografia transesofagea tridimensionale.
Per poter operare avrete bisogno di strumenti di video ottica importanti e modernissimi…
Ottima puntualizzazione. Nella cardiochirurgia mininvasiva, visto che riduciamo l’entità dell’incisione, abbiamo appunto bisogno delle famose ottiche. Nella chirurgia robotica si fa una cardiochirurgia mininvasiva perché utilizziamo ancora la circolazione extracorporea e fermiamo il cuore, ma entriamo all’interno del torace con dei braccetti di un robot e guardiamo una telecamera che ci permette di vedere benissimo.
Dopo trent’anni di ricerche, lei ha brevettato il prototipo del primo cuore bionico a firma tutta italiana. Quando sarà disponibile?
Quello che abbiamo brevettato è il meccanismo del cuore artificiale, il come farlo funzionare. I pazienti in attesa di trapianto di cuore sono di più degli organi che abbiamo a disposizione, quindi c’è una necessità assoluta. In questo momento, purtroppo, mancano i finanziamenti per arrivare al prototipo e alla creazione di un totale cuore artificiale italiano. Con 50 milioni di euro noi riusciremmo a sottoscrivere il primo cuore artificiale italiano.
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