Il Professor Giampaolo Tortora, direttore di oncologia medica del Policlinico Gemelli di Roma e membro del comitato scientifico di Innovabiomed, è intervenuto nella trasmissione televisiva “Elisir”, in onda su Rai 3.
Quanto sarebbe importante l’accesso prioritario alla vaccinazione per i soggetti più fragili, come i malati oncologici, e per le loro famiglie?
“I pazienti oncologici sono pazienti fragili, spesso immunodepressi a causa delle chemioterapie in corso e hanno molto spesso altre patologie associate. Questo ha comportato un decorso molto più grave per i pazienti oncologici e con un numero molto elevato di ricoveri in terapia intensiva e, purtroppo, di decessi. E’ abbastanza inspiegabile il fatto che di tutti i pazienti oncologici che ne avevano diritto solo il 10% sia stato vaccinato e, di contro, il 35% di vaccinati in Italia non aveva nessuna urgenza”.
C’è un vaccino più indicato per i malati oncologici?
“Fondamentalmente no. Noi abbiamo utilizzato il vaccino Pfizer perché abbiamo avuto questa disponibilità, ma probabilmente anche gli altri sarebbero altrettanto efficaci. Abbiamo dati di altri paesi, ma non italiani perché purtroppo come sappiamo in Italia la campagna di vaccinazione ha avuto dei picchi molto più emozionali che basati su dati scientifici. Comunque, con il vaccino Pfizer non abbiamo avuto problemi sui nostri malati”.
E’ appurato che sia la prevenzione che la cura del paziente oncologico sia stata rallentata. Questo è un conto che temiamo verrà presentato tra poco.
“Rischiamo di cancellare in un solo colpo i progressi che abbiamo conseguito nella cura delle patologie oncologiche, ma anche nella diagnosi precoce. Per i malati è stato registrato un 20-30% in meno di terapie oncologiche programmate. Per la conversione in letti Covid, che prima erano destinati alle chirurgie, si è registrato un numero di 400mila interventi oncologici chirurgici in meno con un ritardo del 64% degli interventi chirurgici che erano stati programmati. Se pensiamo all’aspetto diagnosi precoce, 2milioni di prestazioni di screening in meno nel 2020 rispetto al 2019, questo significa diagnosi ritardata che corrisponde inevitabilmente all’identificazione della malattia in un stadio più avanzato, probabilmente non più operabile, e certamente bisognosa di trattamenti più intensivi, più tossici e più costosi”.
Le terapie domiciliari, in questi casi, sono decisive?
“Assolutamente sì. Devo sottolineare che la situazione pre pandemia era tutt’altro che idilliaca in Italia, ma grazie all’enorme sforzo fatto dal personale sanitario si è sempre riusciti a garantire un’eccellente qualità dell’assistenza. I trattamenti specifici richiedono la frequentazione dell’ospedale, ma tantissimo si può fare anche a livello domiciliare come le terapie, la fase di riabilitazione e le cure palliative. Sicuramente, potenziare la rete delle terapie domiciliari sarebbe molto importante e sgraverebbe gli ospedali dal sovraccarico che, invece, abbiamo vissuto”.
C’è un modo preventivo per capire se il proprio ospedale di zona ha un percorso libero da Covid?
“Io posso portare l’esperienza delle istituzioni in cui lavoro. Percorso separati tra pazienti Covid e non. Separazione delle aree in cui sono curati i pazienti oncologici rispetto a quelle in cui passano pazienti Covid. Tracciamento sistematico, come ad esempio tamponi in entrata e in uscita a tutti coloro che sono ricoverati. Nel nostro ospedale abbiamo adottato una misura ulteriore, risparmiando i medici dedicati ai pazienti oncologici dai turni di guardia nei reparti Covid e questo ha fatto sì che siamo riusciti a preservare il personale sanitario e vederlo sano al lavoro ha fatto riacquistare fiducia ai pazienti che sono ritornati e hanno continuato a praticare le cure”.
Link per vedere l’intervista completa: https://www.raiplay.it/video/2021/04/Elisir—22-04-2021-fbf2c106-f793-43ef-94ed-a7604a6f9f9a.html?fbclid=IwAR33cLbMGehyPhxIYkEQkbEwTLLgMQpmAKG9za9joEW8-epEZdQbMGwCGSo
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