L’invecchiamento è un processo biologico complesso caratterizzato da una progressiva incapacità di adattamento a stimoli interni ed esterni, con aumento del rischio di malattia e morte. Alcuni individui tuttavia invecchiano più rapidamente di altri, perciò l’età anagrafica non può essere un indicatore affidabile del reale declino fisiologico di un individuo.

 

Lo studio “The biological age of the heart is consistently younger than chronological age” originato dalla collaborazione tra la Cardiochirurgia, dell’Azienda Ospedale-Università di Padova, guidata dal prof. Gino Gerosa, e il Laboratorio di Genomica e Mutagenesi Ambientale diretto dalla prof.ssa Sofia Pavanello del Dipartimento di Scienze Cardiotoraco-vascolari e Sanità pubblica dell’Università di Padova, è stato pubblicato nella prestigiosa rivista «Scientific Reports». I ricercatori hanno determinato l’età biologica del cuore, altresì definita età epigenetica o di metilazione del DNA (DNAmAge), in particolare dell’atrio destro e sinistro, confrontandola con quella dei leucociti del sangue periferico, tessuto più facilmente disponibile.

 

«Abbiamo scoperto che l’età biologica di entrambi i tessuti atriali (destro e sinistro), è molto più giovane rispetto all’età cronologica di ben 12 anni – spiega la prof.ssa Pavanello – mentre l’età biologica del sangue è molto simile all’età cronologica. Abbiamo così dimostrato che l’età biologica del cuore non riflette l’età cronologica del donatore. Inoltre, non esistono differenze significative tra atrio destro e sinistro, suggerendo che, sebbene anatomicamente diverse ed esposti a diverse condizioni fisiologiche, le diverse aree del cuore hanno la stessa età epigenetica non mitotica. L’età biologica del cuore (atrio destro e sinistro) è anche circa 10 anni più giovane rispetto a quella del sangue. Ciò suggerirebbe che il sangue è più suscettibile ai cambiamenti epigenetici indotti dall’interazione dell’avanzare dell’età e dei fattori ambientali rispetto al cuore».

 

«Il nostro studio apre la strada a nuove linee di ricerca clinica e di base nel campo del trapianto di organi – continua il Prof. Gerosa – nell’era attuale, la carenza di organi non consente a tutti i pazienti affetti da insufficienza cardiaca terminale di avere accesso a un trapianto di cuore, che rimane a tutt’ oggi la miglior risposta terapeutica. Già oggi si utilizzano donatori di età compresa fino a 65 anni ma se vogliamo offrire l’opzione trapianto di cuore anche ai pazienti di età superiore ai 70 anni dobbiamo cominciare ad utilizzare i cuori di donatori di età superiore ai 65 anni. Fino ad oggi, non era stato provato che l’età biologica del cuore potesse essere diversa dall’ età cronologica dei donatori».